Vasja Nagy-Hofbauer

Molto è già stato detto e scritto a proposito delle sculture di Svojc, a seconda dei vari periodi, a seconda dei gruppi formali e contenutistici e anche in generale, in una specie di visione lontana che osserva dall’interno verso l’esterno. Pare che non ci sia più nulla di essenziale da dire, che si possono esprimere solo pensieri che traggono origine dall’esperienza emotiva. La mia conoscenza personale dell’artista e il mio rapporto amichevole con Vojc persona, la lontananza, la sua assenza e l’oblio dell’ultimo incontro, sono elementi che in gran parte determinano questa mia opinione. Non è facile rimanere freddi e concentrarsi solo sulle statue. Tuttavia, le opere di Svojc, con la loro diversità, offrono ad ogni incontro nuovi stimoli e nuove esperienze. Collocare le sculture di Svojc in un contesto storico-artistico non è né facile né univoco. A prima vista, sembra che per forma e contenuto si tratti di tipiche opere moderniste che dimostrano soprattutto la sua conoscenza della tradizione artistica del XX secolo e il suo stretto attaccamento ad essa. Tuttavia, questa prima impressione non ci deve indurre a credere che le sue sculture siano un anacronismo del XXI secolo. Sarebbe troppo semplice e, mi permetto di usare una metafora geometrica, bidimensionale.

Essere eredi dell’arte di un certo tempo, infatti, è esattamente quanto riecheggia nell’affermazione di Bernardo di Chartres, ovvero che poggiamo sulle spalle dei giganti del passato e per questo siamo capaci di vedere più in là. Inoltre, dobbiamo renderci conto che siamo tutti figli del nostro tempo e se una persona è sincera, lo si può vedere e sentire nel suo lavoro, nei suoi pensieri, nella sua vita. Per quanto riguarda le sculture di Svojc, probabilmente non c’è bisogno di sottolinearlo ma voglio comunque dichiararlo e riconfermarlo con le testimonianze di Gail Morris sul modus operandi di Svojc nel cantiere di Kornaria. Lì è stato, ha lavorato in autonomia e solitudine, con franchezza e senza rimpianti. In maniera quasi peccaminosa ed eretica, considerando lo spirito dell’arte del XXI secolo, che riconsidera e rimugina i problemi. Sarebbe troppo ingenuo pensare che Svojc non abbia compreso l’esperienza postmodernista. Questa era parte di lui, come poteva sfuggirle? Il suo filo conduttore si dipana da Elsa von Freytag-Loringhoven e Marcel Duchamp per tutto il XX secolo e prende davvero vita negli anni ’80 e ’90. Questa è un’esperienza che Svojc ha interiorizzato, da cui ha attinto e che gli è stata interessante e utile. Puramente in questo spirito, ha attinto e utilizzato anche da altre fonti, basti pensare al non finito di Michelangelo se osserviamo le superfici grezze di alcune pietre. In fondo, tuttavia, la sua arte non è né modernista né postmodernista, sebbene presenti le caratteristiche di entrambi. Di arcaicità e archetipi ha già scritto Andrej Medved, il quale inoltre afferma che le sue sculture non danno risposte. Aggiungo, che non danno risposte pratiche, pragmatiche a domande concrete perché le sculture sono risposte in sé. Sono affermazioni, assiomi e soluzioni, porte aperte al mondo della spiritualità, allo stesso tempo oggetti e totem viventi.

L’arte modernista è l’arte dei problemi, che allo stesso tempo fornisce soluzioni, mentre l’arte postmoderna non offre alcuna soluzione e già nei primi due decenni del XXI secolo ha portato la problematizzazione all’estremo. Così, sia gli artisti che i critici, raccontano di volta in volta come l’arte mette in discussione, indaga, sperimenta, prova. Per Svojc le cose sono chiare: il cielo è sopra, il mare è sotto e nel mezzo soffia la bora. Senza eccezioni. Ma ciò non vuol dire che le sue opere siano chiare e complete. La sua arte è aperta. Saldamente ancorata alla contemporaneità: quella del momento della creazione e dell’esecuzione, e quella del tempo presente quando qualcuno la osserva. Evita etichette come arte modernista, postmodernista, contemporanea. Vi ricordate del Pigmalione che voleva creare la statua perfetta e se ne innamorò? Questo sarebbe un modo di creare la realtà per i bisogni del corpo e delle emozioni e dello spirito ad esso collegati. Neanche questo è presente in queste sculture. La loro libertà è accecante, abbagliante, fluttuano nell’atemporalità come simboli eterni di pensieri archetipici e percezione universale della realtà. Le sculture di Svojc sono vincolate alla forma in funzione di metafora e ancora di più al simbolo e al segno. Estremizzando, si tratta di personaggi puri che sono la realtà in sé, ma portano un significato, un messaggio e allo stesso tempo, con la loro fisicità, sono presenti senza compromessi. Ma questa fisicità non è un amore banale per la presenza di una forma amata, come illustra la storia di Pigmalione. Nella maggior parte dei casi si tratta di incompletezza, impermanenza del corpo, della forma. Guardate soltanto quante delle statue di Svojec sporgono dalle loro pietre, come per svincolarsi dall’informità. Proprio come gli schiavi di Michelangelo nella tomba incompiuta del Papa. Il non finito di Svojc si esprime con decisione e come intenzione. L’artista depone lo scalpello perché l’indeterminatezza è una dimensione essenziale dell’opera d’arte. E questa dimensione è l’infinito.

Alla fine del XX secolo e soprattutto nel XXI secolo, la nostra società ha trascurato, forse addirittura scartato ed eliminato, l’infinito dalle sue idee. Anche nell’ambiente scientifico, l’infinito è diventato solo un simbolo sotto forma di un otto orizzontale per aiutare la soluzione di equazioni complesse. Con l’illustrazione del muro, il limite dell’universo visibile, cioè di quello che in circostanze ideali sarebbe la massima distanza che un essere umano mai potrà raggiungere, il limite finito dell’universo visibile; ma anche l’universo ha perso la sua infinità e imperscrutabilità. Questa è la povertà spirituale che pervade il postmodernismo e anche l’arte contemporanea, alla quale Svojc evidentemente non ha ceduto. L’arte contemporanea è in realtà uno stile storico-artistico che ha regole molto chiare e definibili. L’arte contemporanea, con la sua nuova prospettiva e il modo caratteristico di produrre la forma, ha seguito lo sviluppo delle tecnologie e delle filosofie e si è separata dal ruolo, quasi esclusivamente rappresentativo, dell’arte pre-contemporanea. L’ars gratia artis, è un’invenzione dell’età contemporanea già nella sua fase iniziale nella prima metà dell’Ottocento. Tuttavia, fino al concettualismo della fine anni ’60, l’arte ha stabilito regole che, nel suo contesto limitato, percepiva come universali ed eterne. Solo in seguito, l’arte inizia a riferirsi sempre più al suo contesto limitato, perdendo così la sua universalità ed eternità. La maggior parte dell’arte diventa dipendente dal contesto, dalla manifestazione concreta nello spazio e nel tempo. Nell’orinatoio possiamo urinare quanto vogliamo, ma non nella Fontana di Duchamp. La banana, del resto non autorizzata, di Cattelan invece, chiunque e quando vuole, può appiccicare al muro, staccare, sbucciare e mangiare. In termini di danaro, siffatta banana attaccata al muro vale poco ma non è così simbolicamente. Ha valore solo quando è menzionata in questa battuta, altrimenti è solo una semplice banana. Svojc ha evitato questi giochi, non ha creato arte che necessitasse di un contesto concreto, di un luogo e un tempo specifici di una sorta di arte temporanea. Le sue statue sono così come sono, sono nate per l’eternità. Il suo primo busto femminile è la gioia della vita, la gioia di vivere, la gioia del dinamismo con le curve, del corpo umano, del corpo femminile e dell’origine della vita delle statuette dell’età della pietra. Qui è già presente il non finito, che poi utilizza come sfondo anche nelle pietre più finemente rifinite e levigate. Il suo omaggio a Brancusi, che sembra un seguito un po’ meno umoristico della Lavatrice Rex e la ricerca dell’infinito; la contemplazione del non cessare di esistere. A questa qualità contemplativa non ha rinunciato nemmeno nelle sue ultime opere con i pensieri basaltici che oscurano la cerea serenità.